N. 40 - Culture formative del margine

2023-06-11

Come il secolo trascorso ha inequivocabilmente mostrato (e quello in corso sembra aver preso in drammatica eredità), l’esilio costituisce una delle forme preminenti di spoliazione dei diritti individuali. Nella tragicità di questa condizione di straniamento, proprio il Novecento – tra disastri apocalittici e periodi di grande fermento culturale – ci restituisce un panorama formativo di grande rilievo, che, paradossalmente, sembra poggiare proprio sulle macerie di quella spoliazione, originando così un binomio significativo.  

La doppia posizione di tragicità/generatività ha reso formativamente rilevante l’esilio intellettuale, anche nelle sue manifestazioni indirette, come la volontà individuale di non appartenere ad alcuna istituzione, nella ricercata contrapposizione tra insider e outsider.

Per le esperienze rilevate in ogni ambito scientifico e culturale, riferite a personalità che, pur avendo scelto la silenziosa “marginalità”, hanno fornito un contributo, spesso decisivo, per cambiamenti euristici sostanziali, si può parlare di un allontanamento coatto o volontario, di una fuga votata alla necessità oppure garantita da mezzi economici rilevanti e da un riconoscimento culturale internazionale. Eppure, spesso e in non poche situazioni, bisogna evidenziare non solo l’autonoma transitività di tale scelta, bensì la decisiva importanza dei mutamenti di paradigma e di stile di pensiero.

 

Una riflessione più attenta su tali figure suggerisce di definire quanto e in che modo questo “esilio intellettuale” – sia nella sua forma di allontanamento coatto sia nella scelta volontaria di permanere ai margini delle istituzioni culturali e formative – abbia influenzato e, il più delle volte, arricchito e sconvolto la rappresentazione culturale dell’intellettuale, tra impegno negato e rifiuto di ogni nicodemismo o “servitù volontaria”.

In tale ampia prospettiva, non si tratta solo di un esilio fisico ma anche “mentale”; non solo “forzato” ma anche fatto della capacità di queste intelligenze multiformi di sapersi adattare a un nuovo ambiente e di influenzarlo, a volte “inventando” nuove realtà culturali e nuove esperienze formative.

Anche se può apparire contraddittorio, è possibile sostenere che un esilio intellettuale risulta fortemente attivo sul piano della creatività e della generatività. Questo atteggiamento ha attraversato tutte le forme della manifestazione umana, nelle situazioni più impensate di difficoltà: dalla letteratura alla musica, dalla filosofia alla pedagogia sino alla psicoanalisi e alle scienze naturali.

 

Ma come, allora, poter dire – nella sua dimensione formativa, educativa e pedagogica – l’importanza e la permanenza di questa enorme eredità culturale?

Innanzitutto, prendendo le mosse dalla lingua (attraverso il vissuto di un vero e proprio “sradicamento”) e, in secondo luogo, dall’ostinazione intellettuale di alcune esemplarità di questa straordinaria rappresentazione collettiva a voler percorrere sentieri secondari e poco battuti dalla cultura ufficiale.

Lo scarto vissuto da chi opera in ambito scientifico e culturale tra un dentro e un fuori le dinamiche istituzionali, tra la possibilità, cioè, di giocare un ruolo plurivoco attraverso la rispettosa eseguibilità (ed esigibilità) dell’apparato procedurale e la disposizione critica alla trasvalutazione imponderabile del proprio tempo, elicita alcune domande che sono alla base di questa proposta. Cosa comporta, infatti, tale tentazione ostinata a permanere sul margine formativo dell’istituzione? Quale cambiamento, individuale e collettivo, si verifica attraverso la perseverante opposizione nei confronti della pervicacia istituzionale a voler ridurre tutto il “sapere” alle proprie regole discorsive?

 

Parole chiave: esilio intellettuale; tragicità generativa; insider/outsider; marginalità culturale.

 

Uscita prevista: inizio Dicembre 2024 
Termine presentazione proposte: 10 Giugno 2024
Accettazione: entro il 10 Luglio 2024
Esito prima valutazione doppio cieco: entro 20 Settembre 2024